I Fenici sono noti per la porpora. Le fonti antiche rimarcano più volte come la lavorazione dei gusci dei murici, dai quali si otteneva il pigmento rosso-porpora, fosse una fiorente industria dei Fenici.
I Fenici esportavano in Grecia e in tutto il Mediterraneo la porpora, un prezioso pigmento che essi estraevano da molluschi gasteropodi del genere Murex e Purpura. Questi gasteropodi vivevano copiosi nel Mediterraneo prospiciente le coste del Libano.
Il pigmento, secreto dalla ghiandola del mantello, era un liquido denso di colore bianco-giallastro che conteneva la purpurina, un cromogeno incolore. La purpurina sotto l’azione di un fermento, l’enzima purpurasi, dà per ossidazione il prodotto colorato.
I molluschi alloggiavano in conchiglie e i Fenici avevano imparato molto presto a utilizzare il liquido che utilizzavano su scala industriale per tingere i tessuti. I Fenici spremevano il mollusco e mescolavano il prodotto della spremitura con il sale, quindi lo esponevano al sole per tre giorni. Dopodiché bollivano lo molto lentamente in grandi caldaie di piombo finché il liquido non fosse evaporato per metà.
Solo a questo punto essi vi immergevano i panni che si dovevano colorare.
Il risultato erano tinte diverse e brillanti, dal rosa pallido al viola più intenso, a seconda del materiale e del tempo di immersione. Il processo di estrazione di questa sostanza, lungo e complesso, faceva sì che le stoffe trattate con la porpora fossero molto pregiate e costose, e il loro utilizzo venne a lungo associato con l’idea della regalità.
I Fenici utilizzavano anche il residuo del colorante rimasto nelle caldaie dopo la tintura delle stoffe. Il colorante, opportunamente fissato su farina fossile, veniva adoperato come colore per la pittura nell’antichità classica e per tingere le pergamene dei codici.
(Porpora in greco si diceva phoinix; di qui, secondo alcuni storici, il nome di Fenicia).
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