CRISI DEGLI STATI UNITI, crisi post bellica

Il 1929 segnò l’inizio della Crisi degli Stati Uniti.

Negli anni ’20 gli Stati Uniti erano la nazione più prospera del mondo, mentre le nazioni europee si sforzavano di riprendersi dalla crisi post-bellica.

Lo sviluppo degli USA fu favorito dalle conseguenze della guerra e tutti investivano in borsa.

Verso la fine degli anni ’20 emerse il problema della sovrapproduzione e il 24 ottobre 1929 si verificò il crollo di Wall Street. In pochi minuti il valore di tutte le azioni si azzerò. Quel giorno fu chiamato “giovedì nero” perché si pensava che molti si fossero tolti la vita. L’afflusso di risparmiatori che volevano ritirare il denaro fece finire presto la liquidità delle banche e questo provocò la recessione. La produttività statunitense calò e questo spiega perché il crollo della borsa innescò una crisi mondiale.

Gli effetti recessivi furono disastrosi sia nei paesi industrializzati sia in quelli esportatori di materie prime. Ci fu una riduzione generalizzata della domanda e della produzione. Il commercio internazionale si contrasse notevolmente e con esso i redditi dei lavoratori, il reddito fiscale, i prezzi e i profitti.

Nel 1932 gli Stati Uniti elessero il loro 32° Presidente: Franklin Delano Roosevelt che lanciò subito un programma, il New Deal, per far uscire la nazione dalla crisi. Il New Deal abbandonava il capitalismo liberista* in cui cioè l’intervento dello Stato è molto limitato in campo economico.

Il New Deal, grazie al quale gli Stati Uniti superarono la grande depressione dei primi anni trenta, rese Roosevelt il Presidente più amato dai lavoratori ma il più odiato dagli industriali

è un sistema economico in cui lo Stato si occupa solo di assicurare funzioni pubbliche che non possono essere soddisfatte per iniziativa individuale, e di garantire con norme giuridiche la libertà economica e il libero scambio, e di offrire beni che non sarebbero prodotti a condizioni di mercato per mancanza di incentivi.